17 Marzo 2024 5a Domenica di Quaresima Omelia di don Angelo
Alla fine spirava vento per le strade di Betania
Quinta domenica di Quaresima
17 marzo 2024
omelia di don Angelo
Prima una sosta sull’aria che si respira tra riga e riga del racconto, persino nel bianco tra parola e parola. Poi la sosta sui verbi che chiudono il racconto e mi suonano come un appello.
Prima l’aria che si respira. Importante l’aria che si respira. La vorrei evocare con una espressione semplice, ma carica di suggestioni se evoca volti: si respira un “volersi bene”. Se togli i verbi duri degli oppositori di Gesù, è tutto un volersi bene. Noi usiamo spesso, e giustamente, dandogli la sottolineatura che merita, il verbo “amare”, ma non gli facciamo un buon servizio, se amare diventa un amare appiattito, monocorde, unico tono. Il brano – lo ripeto sino alla noia – apre fessure sul mondo dei sentimenti di Gesù, dove l’intensità non ha un unico colore. La casa di Betania non era come tutte le case. Che fosse un volersi bene particolare lo si respira da tutti i pori del racconto. E Giovanni lo dice espressamente, annota che Gesù voleva molto bene a Marta, a Maria e Lazzaro.”Il tuo amico” dicono le donne “è malato”. E il pianto svela un rapporto particolare: è una fessura, la gente si accorge. Dissero allora i Giudei: “Guarda come lo amava”. Il racconto è quasi tutto fuori dalla casa, per strada, ma la strada diventa casa, un sussulto di intimità, luogo di svelamento di sentimenti che prendono il colore degli occhi. E allora lasciatemi dire che sarebbe imperdonabile leggere parole come queste di Gesù quasi avessero il tono delle predicazioni, derubandole dell’intimità. Pensate come cambierebbero parole come queste se predicate dall’alto o quasi sussurrate con occhi umidi di pianto: “Sono io, Marta, la risurrezione e la vita. Mi credi?”. E Marta a dire al suo amico: “Ti credo”. Parole da leggere senza togliere loro il brivido dei sentimenti. Che dilagano, irrefrenabili, nel pianto di Gesù quando vede l’amica singhiozzare. Quasi non resistesse.
Sussurri sulla strada, cui sembra fare contrasto, pochi instanti dopo, la voce che diventa grido, di Gesù, nei pressi della tomba. “Detto questo – cioè dopo aver alzato gli occhi al Padre per ringraziare – gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!»”. L’alto della voce è contro la morte, è contro ciò che trattiene inesorabile l’amico. E’ una questione di cuore. Non è grido spettacolo, è grido dal cuore. E non vado oltre, forse ho già violato una soglia.
Ora sosto sulle parole che fanno invito a tutti: sono al plurale nel brano, all’imperativo: “Togliete la pietra. Scioglietelo. Lasciatelo andare”. E che cosa possono significare per noi? Negli imperativi di Gesù mi sembra di vedere quasi un suo invito a collaborare alla sua azione, che è dare vita. Gli sarebbe bastata una parola perché Lazzaro uscisse libero dalla grotta. Non sarà che i verbi siano un appello a noi, a noi che a Gesù diamo, come Marta, nome di “vita” e “risurrezione”? Ognuno di voi potrebbe sostare sui verbi e lasciarsi condurre da suggestioni. Le mie sono provvisorie, sono forse anche pensieri in disordine.
“Togliete la pietra”. Quella pietra creava come una cesura, dura e definitiva: fuori la vita, dentro la fine della vita, il prima e il dopo, separati per sempre. Non è forse vero che noi parliamo del fine vita? Togliere la pietra non vorrà forse dire che la morte diventa passaggio, è Pasqua. E non perché vediamo, ma perché , come Marta, ci affidiamo. “Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”.
E allora mi chiedo: non dovremmo forse educarci a cambiare pensieri e linguaggio e costumi? Parole come ”morti”: morti o viventi? Celebrazioni con il colore violaceo o spudoratamente nero? Accompagnare a morire o a vivere?
Gli imperativi sono al presente e quindi mi risuonano nell’oggi: “Togliete la pietra, liberatelo, lasciatelo andare”. Nei verbi scorgo un appello che dovrebbe accompagnarci nel viaggio della vita ogni giorno, al punto da essere riconosciuti discepoli del Maestro per questo: perche tra coloro che si portano dentro la passione, l’arte di togliere ciò che soffoca, di sfasciare, di lasciar andare.
Mi guardo intorno, mi guardo dentro. E non sarà che abbiamo l’arte opposta, o meglio la pessima abitudine di aggiungere pesi, legare soffocando, frenare pensieri, sentimenti, passi? La cattiva abitudine di mettere ostacoli, complicazioni a non finire, pietre. Pensate – è solo un esempio, ma illuminante – agli ostacoli che poniamo alla vita dei giovani, dei migranti, dei diversamente abili, degli ultimi. Pensate alle pietre che facciamo piovere su terre che già gridano distruzione. Sfasciate, liberate è l’imperativo. Viene a noi che siamo schematici, senza fantasia, costringiamo in ristrettezze. A noi che diciamo di amare e teniamo persone e istituzioni strette nei confini angusti dei nostri pensieri senza immaginazione. Abbiamo fatto pace con le pietre, con la loro durezza, che soffoca la vita.
E che grazia invece quando nella vita ci accade di incontrare persone che hanno l’arte di sciogliere i nodi, hanno occhi che aprono alla fiducia, non sono ripetizione ma innovazione. E non sto pensando a chissà quali loro imprese, no, lo sono nel giro di una giornata qualsiasi, con il loro modo di essere. Ti cambiano l’aria, perché hanno il vento nei capelli e negli occhi. Lo sappiano o no, il vento dello Spirito che non sai di dove viene e dove va. Il vento che alla fine spirava per le strade di Betania.
Le Letture
LETTURA Dt 6, 4a. 20-25
Lettura del libro del Deuteronomio
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato”».
Commento al filmato: nella splendida Sonata in Mi magg di Domenico Scarlatti, le note ritmate, solenni del Clavicembalo cantano con toni maestosi le esortazioni di Mosè al Popolo di Israele a seguire fedelmente la Legge impressa sulle Tavole dal Signore Dio:
«La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato”».
SALMO Sal 104 (105)
Il Signore fece uscire il suo popolo fra canti di gioia.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.
Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore. R
Israele venne in Egitto,
Giacobbe emigrò nel paese di Cam.
Ma Dio rese molto fecondo il suo popolo,
lo rese più forte dei suoi oppressori. R
Ha fatto uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia,
perché osservassero i suoi decreti
e custodissero le sue leggi. R
Commento al filmato: è emozionante la gioia che trasmette l‘Allegro del Concerto da “l’Estro Armonico di Vivaldi, le sue Armonie esultanti, cantano con il salmista:
«Il Signore fece uscire il suo popolo fra canti di gioia.»
EPISTOLA Ef 5, 15-20
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Commento al filmato: le note splendenti della Tromba nel solenne “Allegro”del Concerto in Sol min di Vivaldi, cantano con toni maestosi le raccomandazioni di san Paolo agli Efesini:
«siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.»
VANGELO Gv 11, 1-53
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato ». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo ». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
Commento al filmato: l’Organo della “Toccata” “Tre Versi” in Sol min di Domenico Zipoli, canta con note solenni, maestose il momento in cui Gesù sembra disinteressarsi alla morte del suo amico, me si tratta di tenerezza verso i discepoli perché credano in lui:
«Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!».
nell’Andantino con Espressione della Sonata in Re Magg di Mozart, il Pianoforte canta con note dolcissime, struggenti, l’intimo dialogo di Gesù con Marta:
«Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».
l’Organo della “Chacone” in Sol min di Couperin, racconta con note possenti altamente drammatiche, il momento della risurrezione di Lazzaro: «Lazzaro, vieni fuori!» – l’Organo de “La Resurrezione – Victimae Paschali laudes” di Bach, racconta con grande solennità la profezia del Sommo Sacerdote Caifa che decreta l’uccisione di Gesù:
«Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!».