19 Febbraio 2023 Ultima domenica dopo l’Epifania – Omelia di don Angelo
La casa e i fazzoletti bianchi
Ultima domenica dopo l’Epifania
19 febbraio 2023
omelia di don angelo
Non ha ancora finito di batterci il cuore per l’immagine di Gesù che scrive per terra e gli occhi della donna, e i nostri, su quella misteriosa scrittura, ed ecco che incrociamo una delle parabole più evocative del volto di Dio. Narrata da Gesù. Annotata da Luca.
Ne fa commento in una sua poesia Charles Péguy, ne ritaglio un grumo di versi:
“Ora egli disse: Un uomo aveva due figli:
e chi la sente per la centesima volta,
è come se fosse la prima volta
che la sentisse.
Un uomo aveva due figli. Essa è bella in Luca. È bella dappertutto.
non è solo in Luca, è dappertutto.
È bella sulla terra e nel cielo.
È bella dappertutto.
Solo a pensarci, un singhiozzo vi sale alla gola.
È la parola di Gesù che ha avuto la più grande risonanza
nel mondo.
Che ha trovato la risonanza più profonda
nel mondo e nell’uomo.
Nel cuore dell’uomo.
Nel cuore fedele, nel cuore infedele”.
Dopo parole come queste senti brivido a commentare.
“Un uomo aveva due figli…”: la parabola vive in un contesto concreto, un contesto che conosciamo, una famiglia. E sembra nascondere il seme in una terra che conosciamo: la terra di una famiglia. E non è una famiglia perfetta, nessuna lo è. Ma proprio per questo c’è bisogno di parabole, di parabole come seme. Una famiglia in cui ci sono problemi. L’aria è viziata. Ci sono rapporti malati, ombre di incomprensioni, sentimenti che resistono a uscire, cose da chiarire. Un figlio che sogna libertà fuori, come non la respirasse dentro; un altro che è tutto lavoro, forse solo lavoro. Un padre che non riesce a farsi capire. E la madre? Dov’è la madre? Manca al momento una voce al femminile. Chissà che non stia qui, o anche qui, il problema.
Vorrei indugiare su ciò che accade: accade che le relazioni si ammalino, accade quando a prevalere non è la passione per l’altro, ma sono cose e lavoro e una forma, a volte sottile, di dominio: “Dammi la mia parte di eredità”; “Non mi hai dato nemmeno un capretto”. Cose, e non sentimenti. Una famiglia dove ci si dà cose. E scompare il nome di figlio, di fratello: nomi che evocano molto di più, immensamente di più, che stare sotto lo stesso tetto. E ci si dimentica come bellezza sia – nonostante a volte non ci si capisca – quel guardarsi e darsi nome di figlio, di padre e di madre, di fratello e sorella, nomi che odorano di sentimenti.
Penso abbia colpito anche voi il figlio maggiore che fa i conti come se fosse un salariato e il minore che ritorna e il massimo che si augura è di vivere nella casa come un salariato, sotto padrone: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Ma conosceva suo padre? O lo avrebbe finalmente conosciuto?
Ed ecco che in questa terra che ci appartiene viene seminata una parabola, come seme buono, una parabola che guarisce i nostri rapporti malati.
Anche il brano del profeta Osea oggi parlava di rapporti malati. Cui ridare passione. La donna, figura del popolo di Dio, figura di tutti noi, se n’è andata, sedotta dalle cose: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Rimarrà delusa, troverà dei baal, dei padroni. Ritornerà; e Dio la porterà nel deserto, luogo di assenza di cose, ma luogo di intimità – che è la cosa che più conta – e parlerà sul suo cuore; ed ella gli risponderà come nei giorni della giovinezza: ”E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”.
Dio non è un padrone e noi – ne siamo coscienti o no – lo offendiamo nelle sue viscere più tenere quando la religione la riduciamo a doveri e divieti, a prestazioni. Come fossimo dei salariati. la parabola dei due figli scardina la religione dei salariati.
Forse esagero, o forse no, nel brano non trovo la parola “perdono” rivolta al figlio, non ce n’è una che è una per quel figlio, perduto e riavuto. E’ scritto; “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. E’ bellissimo, il perdono glielo canta correndogli incontro, abbracciandolo, baciandolo. Il perdono non sta nelle parole, o può anche stare nelle parole, ma è vero se prima sta in uno sguardo: il mio modo di guardarti; sta nel nome che ti do dentro.
Le parole del padre nella parabola sono per gli altri: “Facciamogli festa”. E non era forse questo che indignava il fratello maggiore? Che avrebbe anche sopportato un rientro, ma a testa basa, e l’ordine di riprendere finalmente il lavoro. No, la festa.
Giusto un anno fa, ho sorriso per un commento di Papa Francesco alla parabola, disse: “Mi permetto di raccontare una storia, finta, ma che fa vedere il cuore del padre. C’è stata un’opera pop, tre quattro anni fa, sull’argomento del figlio prodigo, con tutta la storia. E alla fine, quando quel figlio decide di tornare dal padre, si confronta con un amico e gli dice: “Sai, ho paura che mio padre mi rifiuti, che non mi perdoni”. E l’amico gli consiglia: “Manda una letterina al tuo papà e digli: “Padre, sono pentito, voglio tornare a casa, ma non sono sicuro se tu sarai contento. Se tu vuoi ricevermi, per favore, metti un fazzoletto bianco alla finestra”. E poi cominciò il cammino. E quando era vicino a casa, dove la strada faceva l’ultima curva, ebbe di fronte la sua casa. E cosa vide? Non un fazzoletto: era piena di fazzoletti bianchi, le finestre, tutto! Il Padre ci riceve così, con pienezza, con gioia .Questo è il nostro Padre”.
Ritorno, per concludere, a un dettaglio del racconto: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide”. “Lo vide”. Non era chiuso in casa o, se era in casa, era là dove si poteva guardare fuori, non era chiuso in un risentimento. Puntava gli occhi lontano. Quel giorno vide un puntino lontano e gli diede nome di figlio. Io sono quel puntino lontano, atteso. Tutti lo siamo, attesi. Perdonati. Oserei dire: di più, attesi.
LETTURA Os 1, 9a; 2, 7a.b-10. 16-18. 21-22
Lettura del profeta Osea
Il Signore disse a Osea: «La loro madre ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, la sbarrerò con barriere e non ritroverà i suoi sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso”. Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio, e la coprivo d’argento e d’oro, che hanno usato per Baal. Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore».
Commento al filmato: è un brano di spettacolare bellezza questo “Allegro: Piano Sempre” del Concerto in La min di Vivaldi; Fagotto solista e Orchestra si scatenano in un dialogo appassionato per raccontare, con armonie emozionanti la profezia di Osea:
E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore».
SALMO Sal 102 (103)
Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. R
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. R
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. R
Commmento al filmato: è di una bellezza incontenibile il dialogo scatenato degli Archi nello splendido, frenetico “Poco Allegro” del Sestetto in Sol M di Johannes Brahms, le sue armonie affascinanti, a tratti dolcissime, ci fanno cantare con il salmista:
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
EPISTOLA Rm 8, 1-4
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito.
Commento al filmato: le note sognanti, dolcissime, del Pianoforte dello splendido “Prelude” da “Suite Inglese” di Bach, cantano con armonie emozionanti l’annuncio di San Paolo ai romani:
Fratelli, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.
VANGELO Lc 15, 11-32
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Commento al filmato: lo splendido “Preludio” da “Preludio Corale & Fuga” di César Franck – una bellezza senza tempo – illumina di intensa commozione l’Amore del Padre verso il figlio “prodigo”, le note appassionate, frementi del Pianoforte cantano:
“Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.