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30 Giugno 2024 6a Domenica dopo Pentecoste Omelia di don Angelo

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30 Giugno 2024 6a Domenica dopo Pentecoste Omelia di don Angelo

Uno che c’è, giorno e notte

Sesta domenica dopo Pentecoste

30 giugno 2024

omelia di don Angelo

Stanchezze e oppressioni segnano ogni tempo, segnano tratti di vita di ciascuno di noi. Ascolti discorsi, osservi volti, ed hai come la sensazione che si sia fatta stanca persino l’aria. Accade oggi e accadeva anche ai tempi di Gesù, lui ne coglieva i segni, lui che leggeva l’indicibile in un minimo di accensione o di smarrimento degli occhi. E la voce: “Venite a me voi che siete affaticati e oppressi”.

Quel giorno gli venne di lodare il Padre per quel piccolo gruppo di discepoli che, a fronte di gente che si pensava chissà chi, ancora lo seguiva. Oppressi dal giogo, imposto alle loro spalle dai capi religiosi, sembra dire loro: “Lasciateli! Venite a me: Il mio giogo è dolce, il mio peso è leggero”.  Loro a caricarli di trecento e più osservanze, carico insopportabile; lui a proporre la legge dell’amore, che non è fatta di imposizioni, ma di attenzioni.

E aggiunge: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. A fronte di capi duri e arroganti, un Rabbi mite e umile di cuore. Mitezza e umiltà che sembrano case abbandonate da chi detiene il potere, qualità estranee a chi è ubriaco di sé. “Imparate da me”: dice Gesù. E’ dalla mitezza e dall’umiltà che nasce la cura vera, l’attenzione alle persone. Che è cosa ben diversa dall’attenzione ai sondaggi.. Solo così ti prendi cura veramente della stanchezza e della fragilità degli altri.

Ed ora, presuntuoso, oso una connessione con Mosè. Anche agli occhi di Mosè faceva inquietudine la stanchezza e l’oppressione di un popolo, il suo, in Egitto. Voi sapete, che, salvato per tenerezza di una donna dalle acque del Nilo e poi cresciuto, si era ribellato; e un giorno, preso da ira, aveva reagito, sino ad uccidere un egiziano che aveva colpito uno della sua gente. Braccato dal faraone, era finito alla macchia nel deserto, alle dipendenze di Ietro di cui aveva sposato la figlia: lunghi anni, ben 40 secondo la tradizione, una vita a pascolare greggi. Potremmo pensare anni sprecati. Ebbene lasciatemi dire – è un azzardo – che per lui fu come una scuola: nasceva complicità, delle pecore ascoltava il loro brucare di giorno e il bisbigliare dei sogni nelle notti. Il futuro condottiero ebbe allenamento di pastore. E non sarà oer questo che fu scelto? In un midrash della tradizione rabbinica si racconta: “Fu col gregge che il Signore lo mise alla prova. Osservano i nostri maestri: una volta, quando Mosè pascolava il gregge di Ithro nel deserto, gli fuggì un capretto. Mosè gli corse dietro fino alla fessura di una roccia; giunto là, il capretto si fermò davanti a una cisterna per bere. Quando Mosè gli fu vicino, gli disse: “Ma io non sapevo che tu corressi per la sete, sei dunque stanco?”. E nel dire così lo mise sulle spalle, e continuò a camminare. Allora il Santo, benedetto Egli sia, gli disse: “Poiché tu hai compassione e sai guidare il gregge degli uomini, sono certo che saprai guidare anche il gregge del mio popolo, Israele”.

Bellissimo: sai guidare se hai cuore di pastore, se conosci umiltà e mitezza. Sembrano paesi sconosciuti: mitezza e umiltà,  veri stranieri.

Lui, Mosè, un avvicinarsi umile l’aveva imparato anche su ordine di Dio dal roveto ardente: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”. Togliere i sandali dai piedi è un’altra lezione per chi ha missione di guida e di cura, vorrei dire, per chi  intende amare.

Poi, presso il roveto che ardeva e non si consumava, chiese il nome a Dio, il nome che avrebbe dovuto ripetere a chi gli avesse chiesto chi lo mandava, un nome che ha fatto e ancora fa discutere. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Era forse per dire che lui ha nome di uno che c’è, è presente, ci sarà, quasi dicesse: “Non temete, pensate ad Abramo, Isacco e Giacobbe; ci sono, ci sarò, giorno e notte. E chissà – è una fantasticheria – se Mosè sentì una strana assonanza tra quel nome e il suo essere pastore, uno che c’è giorno e notte.

Di Mosè abbiamo e giustamente l’immagine di una guida infaticabile, rossi di sabbia i suoi occhi, traghettatore di tribù per deserti. Siamo meno abituati a sostare alla sua tenerezza.  Di lui una tradizione dice che, pur di ottenere il perdono del suo popolo, dura cervice, fece rinuncia ad entrare nella Terra promessa. Cuore di pastore.

Forse anche per questo anni fa mi colpì un altro midrash della tradizione rabbinica: racconta della morte di Mosè; eccolo a chiusura,  commovente la tenerezza:

“Ascoltiamo come morì Mosè. Avendo finalmente accettato di morire, Mosè implora Dio di non consegnarlo alle mani dell’angelo sterminatore, che gli fa paura. E Dio glielo promette. L’angelo sterminatore si avvia verso Mosè a tre riprese, ma può solo guardarlo da lontano (come la terra promessa). L’ultima ora è giunta. Mosè la impiega per benedire le tribù di Israele. Incomincia, benedicendole una alla volta. Ma siccome il tempo incalzava, le benedice tutte insieme.

Poi, circondato dal prete Eleazar e dal figlio Pincas e seguito dal discepolo Giosué, incomincia a scalare il monte Nebo, lentamente. Entra nella nube che lo attende. Mosè avanza di un passo e si volta a vedere il popolo che lo segue con lo sguardo. Avanza di un altro passo e si volta di nuovo per vedere gli uomini, le donne, i bambini rimasti laggiù. Alcune lacrime scendono dai suoi occhi: non vede più nessuno.

Arrivato sulla sommità della montagna, si ferma. “Hai ancora un minuto”. Dio lo previene per non privarlo del suo diritto alla morte. Mosè si stende sul suo giaciglio. “Chiudi gli occhi”, gli dice Dio. E Mosè chiude gli occhi. “Incrocia le braccia sul petto”, gli dice Dio. E Mosè incrocia le braccia sul petto. E Dio lo bacia sulla bocca, in silenzio. E l’anima di Mosè si rifugia nell’alito di Dio. Che lo porta nell’eternità.

Il popolo d’Israele, ai piedi della montagna brumosa, pianse. E tutta la creazione pianse.

Lassù gli angeli e i serafini lo accolsero nella gioia che risuonò in tutte le sfere celesti”.

Le Letture

LETTURA Es 3, 1-15

Lettura del libro dell’Esodo

In quei giorni. Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e fare uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

Commento al filmato: è di una imponenza spettacolare questo “Allegro” in Fa min da “Sonate da Chiesa” di Mozart, le note maestose dell’Organo cantano con toni solenni l’incredibile dialogo fra Dio e Mosè, fra il Creatore e la Creatura – è il mpmento solenne dell’Alleanza delSignore con il Popolo di Israele:

«Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

SALMO Sal 67 (68)

O Signore, nostro Dio,

quanto e grande il tuo nome su tutta la terra.

Cantate a Dio, inneggiate al suo nome,

appianate la strada a colui che cavalca le nubi:

Signore è il suo nome, esultate davanti a lui. R

O Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo,

quando camminavi per il deserto,

tremò la terra, i cieli stillarono davanti a Dio,

quello del Sinai, davanti a Dio, il Dio di Israele. R

«Benedite Dio nelle vostre assemblee,

benedite il Signore, voi della comunità d’Israele».

Verranno i grandi dall’Egitto,

l’Etiopia tenderà le mani a Dio. R

Regni della terra, cantate a Dio,

cantate inni al Signore,

a colui che cavalca nei cieli, nei cieli eterni.

Ecco, fa sentire la sua voce, una voce potente! R

Commento al filmato: in questo splendido “Allegro” dal Concerto in Si min di Vivaldi, i quattro Violini, il Violoncello e gli Archi dell’Orchestra, si scatenano in un dialogo esultante per cantare la grandezza del Nome del Signore:

«Regni della terra, cantate a Dio,* cantate inni al Signore, * a colui che cavalca nei cieli, * nei cieli eterni. * Ecco, fa sentire la sua voce, * una voce potente!»

fanno da sfondo le stupende immagini di “Santa Chiara ferma l’assedio di Assisi” di Cesari, “Maria Regina” di Raffaello e “Processione di ringraziamento per la vittoria della battaglia di Lepanto”

EPISTOLA 1Cor 2, 1-7

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.

Commento al filmato: in questa delicata “Sarabande”  dalla Partita in Mi min di Bach, le note dolcissime del Pianoforte cantano con armonie di grande tenerezza l’annuncio di san Paolo ai Corinzi:

«Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.»

VANGELO Mt 11, 27-30

✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, “e troverete ristoro per la vostra vita”. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Commento al filmato: nello stupendo “Largo”del Concerto in Sol Magg. di Vivaldi, il canto dolcissimo del Flauto esprime tutta la tenerezza e l’Amore delle esortazioni che Gesù rivolge ai suoi discepoli:

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

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