22 Settembre 2024 4a Domenica dopo il martirio omelia di don Angelo
E fare legatura tra pane del cielo e pane della terra
Quarta domenica dopo il martirio del Precursore
22 settembre 2024
Omelia di don Angelo
Oggi leggendo di Elia in fuga nel deserto i miei pensieri – forse anche i vostri – correvano d’istinto dal deserto di Giuda ai deserti sconfinati del nostro tempo, dove in fuga non è un uomo braccato da una regina, ma centinaia di migliaia di esseri umani, donne uomini bambini, in cerca di salvezza da fame, oppressioni, incendi di guerre. E mi chiedevo – non voglio sembrarvi irriverente – dove siano gli angeli oggi, in soccorso di focaccia e di di acqua per quelli che giacciono a terra, senza più forze. Comunque angelo, focaccia e orcio d’acqua segnano una direzione, la direzione di Dio, la direzione dell’umano.
E subito, dietro la domanda sugli angeli, venendo al vangelo, un’altra domanda: non sarà che noi abbiamo diviso Il Pane del cielo, Gesù, e il pane della terra? Tenterò di inseguire questa suggestione.
Oggi con il brano di vangelo entriamo nella sinagoga di Cafarnao, dove Gesù parla di sè come di Pane disceso dal cielo. Ma non vorrei perdere una legatura, quella con il giorno precedente. E’ vero di mezzo c’era stata una notte di tempesta sul lago e salvataggio in extremis per grido di Maestro alle acque. Ma la folla a Cafarnao era la stessa del giorno prima. Il giorno prima era stato il giorno del pane terreno, sul monte al di là del lago. E l’iniziativa era stata tutta sua, di Gesù. Sbalordito per l’arrivare di quella fiumana di gente, aveva chiesto a Filippo dove si potesse comprare il pane per sfamare tutti quanti. Sì, disse “comprare”, che è un verbo che dice “metterci qualcosa di tuo”. Poi a dare inizio a quella inverosimile condivisione bastarono cinque pani d’orzo e due pesci di un ragazzo. E noi non ne conosciamo il nome, ma, pensate, siamo qui ancora oggi – e sono passati due millenni – a ricordarlo per via di quei cinque pani e due pesci. Gesù dunque segno di un Dio attento al bisogno del pane terreno: agli occhi di Gesù, alla fine della giornata sul monte, mentre le ombre oblique radevano le erbe del prato, non sfuggirono nemmeno i piccoli pezzi di pane per terra e diede ordine di raccoglierli. E furono dodici le ceste.
Ma che cosa era successo? Che il pane lo si può anche mangiare, ma svuotandolo del segno e nella sinagoga Gesù svela la dura realtà: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”. Gesù a dire loro che non si vive di solo pane terreno, ma di un pane disceso dal cielo e che quel pane è lui. Nutritevi di me, del mio corpo e del mio sangue, cioè della mia vita. Che vi fa vivi dentro, vivi per sempre: certo non immortali, mai però morti dentro, vivi per sempre.
Pane terreno e pane celeste. Noi dividiamo. Quando la meraviglia è cucire. Anche a questo proposito potrei ricordare parole di un’amica, poetessa, Chandra Livia Candiani: “La postura del cuore è: io sono qui, aperta a qualsiasi cosa sorga e mi visiti, sono radicata a terra, sento il suo sostegno, e insieme mi alzo verso il cielo, nello spazio, li cucio”. Cucire, anche il pane della terra e il pane del cielo e farne pani quotidiani.
Voi mi capite, la domanda “che cosa hai mangiato?” si allarga e mette in questione altro, l’altro dello spirito. Che cosa hai mangiato, di che cosa ti sei nutrito, che cosa hai assimilato? Mette in questione la vita quando è di corsa. E per che cosa abbiamo corso. Di che cosa ci siamo nutriti? Non sempre le parole che si presentano come pane, che hanno più udienza e fanno più rimbombo, le più suadenti, sono parole dal cielo, nel senso di preziose e alte; a volte sono parole malate, meschine e alla fin fine soffocanti e pericolo è l’ assimilazione. “Guardatevi” dirà un giorno Gesù “dal lievito dei farisei che è l’ipocrisia”. E stavano discutendo di pane.
A confronto, la luminosità, la semplicità, il profumo buono del pane, del pane che è Gesù. A Gesù rimandava – ed era segno luminosissimo – il pane del monte, ma lo avevano perso dagli occhi. Così come avevano perso dagli occhi – lasciate che lo chiami così – un altro segno, pure luminoso e quasi un anticipo di Gesù, il ragazzo dei cinque pani e due pesci . E chi più lo ricordava il giorno dopo? Chi ricordava ciò di cui era stato segno? Tutti a volere altro pane. E il ragazzo? Il ragazzo del monte aveva dato quanto aveva, senza sapere che cosa gliene sarebbe venuto. Vedete come i pensieri si rincorrono e si incrociano.
Mangiare la carne e bere il sangue può suscitare qualche esitazione. Significa accogliere la vita di Gesù nella sua concretezza, il suo modo di vivere e di pensare. Non basta mangiare un’ostia, occorre infinitamente ringraziare chi si è spezzato come pane per noi; poi assimilare – perdonate la parola – la spezzatura, diventare pane spezzato.
Diventare pane. Pensate come a volte ci perdiamo in sottigliezze, in parole che alla fine sono mute, quando forse basterebbe una domanda, chiedermi: “Sono un pane buono? Oggi sono stato pane, buono e spezzato, come il mio Signore? Come il pane luminoso che mi è stato consegnato nelle mani nell’eucaristia?”.
Pensate come il messaggio del pane lo traducevano senza giri di parole i cristiani dei primi secoli, libro della “Didachè”: “Se condividiamo il pane celeste come potremmo non condividere il pane terreno?”. Gesù fa legatura tra pane del cielo e pane della terra. E noi? Chiamati ad essere pane con desiderio di spezzarci.
Mi sento lontano dal ragazzo dei cinque pani e due pesci. Vi confesso, vorrei essere almeno un frammento di pane. Di quelli che Gesù chiese di raccogliere, a condivisione avvenuta, sull’erba del monte.
Le Letture
LETTURA 1Re 19, 4-8
Lettura del primo libro dei Re
In quei giorni. Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.
Commento al filmato: le note ora solenni, impetuose, ora dolcissime, del Pianoforte, nel “Prestissimo” della Sonata in Mi Magg di Beethoven, ci trasmettono con armonie emozionanti, il racconto di questo episodio della vita del Profeta Elia sostenuto nel suo cammino faticoso da un pane dal Cielo:
«Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino».
Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.
SALMO Sal 33 (34)
Il tuo pane, Signore, sostiene i poveri in cammino.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. R
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. R
Commento al filmato: le note gioiose, esultanti , confidenti del Fagotto e dell’Orchestra nello spumeggiante “Allegro” del Concerto in Mi min di Vivaldi, ci fanno cantare con il Salmista il Responsoriale «Il tuo pane, Signore, sostiene i poveri in cammino» tratto dal Salmo 33/34:
«Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce.»
EPISTOLA 1Cor 11, 23-26
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Commento al filmato:è una atmosfera di grande tenerezza che infonde nel nostro cuore la delicata, dolcissima “Sarabande”della “Suite” in Do Magg di Bach; le splendide immagini della “Ultima Cena” di Joandes Joanes e Tintoretto, sottolineano la grande solennità dell’annuncio:
«Il pane e il calice eucaristici nella Chiesa»
che san Paolo fa ai cristiani di Corinto.
VANGELO Gv 6, 41-51
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. I Giudei si misero a mormorare contro il Signore Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Commento al filmato: è travolgente, emozionante la bellezza di questo “Allegro” del Concerto di Vivaldi da “L’Estro Armonico”, il Violino solista e l’Orchestra si scatenano in un tripudio di note festose per cantare lo straordinario annuncio di Gesù che chiude la bocca al vuoto cicaleccio dei Giudei – (e perchè no, anche talvolta al nostro, quando, davanti all’Altare guardiamo all’Ostia Consacrata con il cuore altrove, vuoto):
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».