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20 Ottobre 2024 Dedicazione del Duomo di Milano Omelia di don Angelo

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20 Ottobre 2024 Dedicazione del Duomo di Milano Omelia di don Angelo

Bellezza della coralità, bellezza di una casa

Dedicazione del Duomo di Milano

20 ottobre 2024

omelia di don Angelo

Festa della Dedicazione del Duomo di Milano. Di un Duomo – potremmo dire – più volte dedicato nel tempo. Di una cattedrale – anche questo potremmo dire –  mai compiuta, sempre in costruzione. E non sarà anche questa la sua bellezza: l’incompiutezza? E ogni generazione può metterci qualcosa di suo, per darle bellezza o per restituirle bellezza. Simbolo dunque di una chiesa, anche di una comunità, anche di una vita, che hanno sempre dell’incompiuto, sempre in divenire, sempre in sete di bellezza.

Forse non tutti sanno che stiamo parlando di una chiesa che ha una sua stranezza o, se volete, una caratteristica non comune: il Duomo di Milano non è dell’Arcivescovo, non è nemmeno del Comune, è dei milanesi. A presiedere è la “Veneranda – così la chiamano – Fabbrica del Duomo”,  istituita nel lontano 1387 da Gian Galeazzo Visconti. Dunque un ente non prettamente ecclesiastico, che sembra quasi richiamare la vocazione della cattedrale ad essere di tutti, una casa per tutti, la coralità.

E che bello  che il richiamo alla “casa” sia rimasto – anche se spesso ce  lo scordiamo – nel nome “duomo”, dal latino “domus”, casa, il calore di una casa.

Di tutto questo il Duomo è segno: la bellezza dell’incompiuto, la bellezza della coralità, la bellezza del calore di una casa.

Calore nel tempio. Non è scontato che ci sia, non bastano le pietre, per sfolgoranti che siano. Può sembrare quindi una stranezza che la Liturgia oggi ci abbia fatto leggere un brano di Giovanni in cui si parla della dedicazione di un tempio, quello di Gerusalemme, ma con un incipit raggelante, non solo dal punto di vista meteorologico, il  contrasto è stridente. Eccolo: “Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone”.  Era inverno. Inverno in tutti i sensi.

Un tempio è vuoto, vuoto anche se affollato – è inverno nel tempio – quando è assente la tenerezza. Non è forse questa la sensazione che proviamo ascoltando le parole dei capi dei Giudei, gelide nei confronti di Gesù? Le pietre sono diventate gelide e il cuore gelido come pietra: un tempio vuoto di Dio, loro si sono impadroniti di Dio e della religione, ne hanno fatto un pretesto per il loro potere, per i loro interessi, per la loro ambizione. La sete di dominio, di ricchezza, di successo fa loro guardare con sospetto e acredine il Rabbi di Nazaret: sia salva la istituzione, salva nelle loro mani! Dirà loro Gesù: “Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito”

Ebbene in una chiesa noi non cerchiamo funzionari, tanto meno funzionari di Dio, cerchiamo Dio e il suo respiro di vita, non il gelo dell’inverno. Una  delle sensazioni da brivido, brivido tenero, che  provavo – e penso anche voi proviate  – entrando e sostando nel nostro Duomo, anche in assenza di celebrazioni, era ed è quella di sentirci avvolti dall’ ombra delle alte volte come da un mistero buono, da una presenza benedicente. Ti sfiora la pelle. Varcando poi le porte per uscire, la sensazione è di portarla con te nella vita: non hai incontrato gerarchie da ossequiare, hai incontrato l’ombra tenera di Dio.

D’altro canto il nostro Duomo, quasi evocando la bontà infinita di Dio,“ha sì gran braccia” da assicurare accoglienza a chiunque chieda dimora. Celebrazione della moltitudine e casa di tutti. Le due cose insieme: nessuna esclusione, ma insieme il calore della casa, calore negli sguardi, calore sui visi. Ebbene è proprio questa dimensione della tenerezza che, come racconta il Cantico dei cantici, mette alle spalle il gelo dell’inverno:

Perché, ecco, l’inverno è passato,

è cessata la pioggia, se n’è andata;

i fiori sono apparsi nei campi,

il tempo del canto è tornato.

Vorrei così far ritorno al brano di Giovanni che con le parole di Gesù cambia il colore della pagina: dall’inverno alla primavera. Gesù risponde ai funzionari con l’immagine del pastore. C’è un abisso. La insidiosa domanda a Gesù se sia o no il messia  è solo a scopo di cattura. Lui risponde parlando di gregge, di pecore e di pastore. Da una parte la sete di potere, dall’altra la relazione. Il tempio di sua natura è chiamato ad essere un luogo dove imparare a mettere alle spalle l’inverno dell’uso e del possesso dell’altro, dove imparare a dare spazio al fiorire della relazione. Esci poi, non a portare  l’inverno, ma un fiorire, se pur minimo, di primavera: la tenerezza che fa lago negli occhi del pastore.

Sentite se non sono un canto alla tenerezza dei rapporti queste parole: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola”.

Ricordiamolo: Gesù è, e rimane, il vero  nostro pastore; e noi, tutti, siamo pecore, dal primo all’ultimo, nel senso più suggestivo dell’immagine, anche se nessuna pecora fotocopia dell’altra. E riconoscerlo cambia il mondo, cambia la chiesa, cambia il modo di vedere gli altri: in primo piano non è più l’interesse  personale, o di un gruppo, o di una nazione, o di una chiesa, ma la coralità che sta nei pascoli del gregge, l’ascoltarsi e il conoscersi, la passione che nessuno vada perduto, perché è questo che si impara seguendo il pastore. Si impara ad avere la dimensione della grandezza di cuore, della grandezza della mente, della grandezza dell’anima. Ce lo sembra ricordare il nostro  Duomo. Un tempo – oggi la parola non la sento quasi più nell’aria – la chiamavano la ”milanesità”, “Milan col coeur in man”. Sono arrivato a pensare che fosse anche per contagio del Duomo, e ad augurarmi che il contagio si riaccenda. Che non si perda nessuno. La passione per tutti.

Letture

LETTURA Is 26, 1-2. 4. 7-8; 54, 12-14a

Lettura del profeta Isaia

In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: «Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza. Aprite le porte: entri una nazione giusta, che si mantiene fedele. Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna. Il sentiero del giusto è diritto, il cammino del giusto tu rendi piano. Sì, sul sentiero dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te; al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio. Farò di rubini la tua merlatura, le tue porte saranno di berilli, tutta la tua cinta sarà di pietre preziose. Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, grande sarà la prosperità dei tuoi figli; sarai fondata sulla giustizia».

Commento alfilmato: le note gioiose, esultanti dell’Organo e degli Archi dello splendido “Giga,Allegro” dal Concerto in La di  Michèl Corrette, cantano con armonie affascinanti, avvincenti, la profezia di Isaia:

«Dio ha posto a nostra salvezza mura e bastioni. Aprite le porte: entri una nazione fedele.»;

le splendide immagini del “Muro del Pianto” all’alba, dei due dipinti di Lorenzetti e di Duccio da Bononsegna che raffigurano l’entrata di Gesù in Gerusalemme, conferiscono a questa profezia una luce straordinaria.

 

SALMO Sal 67 (68)

Date gloria a Dio nel suo santuario.

Appare il tuo corteo, Dio,

il corteo del mio Dio, del mio re, nel santuario.

Precedono i cantori, seguono i suonatori di cetra,

insieme a fanciulle che suonano tamburelli.

«Benedite Dio nelle vostre assemblee,

benedite il Signore, voi della comunità d’Israele». R

Mostra, o Dio, la tua forza,

conferma, o Dio, quanto hai fatto per noi!

Per il tuo tempio, in Gerusalemme,

i re ti porteranno doni.

Regni della terra, cantate a Dio,

cantate inni al Signore. R

Riconoscete a Dio la sua potenza,

la sua maestà sopra Israele,

la sua potenza sopra le nubi.

Terribile tu sei, o Dio, nel tuo santuario.

È lui, il Dio d’Israele, che dà forza e vigore al suo popolo.

Sia benedetto Dio! R

Commento al filmato:Solennità, fervore, esultanza, provocano nel nostro cuore le note dell’Organo del Concerto in Re min di Vivaldi, nel canto del Responsoriale Date gloria a Dio nel suo santuario tratto dal Salmo 67/68:

«Appare il tuo corteo, Dio, il corteo del mio Dio, del mio re, nel santuario. Precedono i cantori, seguono i suonatori di cetra, insieme a fanciulle che suonano tamburelli. «Benedite Dio nelle vostre assemblee, benedite il Signore, voi della comunità d’Israele».

EPISTOLA 1Cor 3, 9-17

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, siamo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Commento al filmato: questo “Allegro Molto” del  Concerto, in Sol Magg di Vivaldi, trasmette tutta la carica drammatica e, allo stesso tempo, accorata, del messaggio di san Paolo ai corinzi; le note dell’Oboe del Fagotto e degli Archi, si dipanano in un dialogo a tratti frenetico, a tratti dolcissimo, per illuminare di splendore l’annuncio di san Paolo:

«Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.»

VANGELO Gv 10, 22-30

✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Commento al filmato:ai Giudei che lo incalzano per insidiarlo: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente», Gesù risponde in modo secco:

«Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me.»

ma poi il suo discorso si fa più dolce, si fa trasparente la Sua Tenerezza:

«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano»;

lo straordinario caleidoscopio di armonie dello stupendo “AllegroMolto”  dal Concerto, in Re min di Vivaldi, rappresentano in modo mirabile gli stati d’animo di Gesù come traspaiono in questa discussione con i giudei.

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