23 Febbraio 2025 penultima Domenica dopo Pasqua Omelia di don Angelo
Quando la prima cosa che accade è un banchetto
Penultima domenica dopo l’Epifania
23 febbraio 2025
omelia di don Angelo
“Il Signore Gesù uscì di nuovo lungo il mare di Galilea”. Interessante come l’evangelista Marco operi una cucitura tra gli episodi; o forse è un azzardo da parte mia commentare, fantasticando su cuciture. “Uscì di nuovo lungo il mare”, “di nuovo”: dunque il rabbi di Nazaret aveva passione di lago. A quel lago, il lago di Tiberiade, davano esagerando nome di mare. “Usci di nuovo”: quasi una preferenza, quasi volesse il mare come sfondo alle sue parole, ai suoi gesti, sposati così a una immensità.
Forse – e oso – quel giorno sentiva prorompente il bisogno di immensità: in casa, proprio sotto lo squarcio del tetto – e il cielo chiamava l’immenso – aveva subito aggressione di critiche, per aver azzardato parole di perdono a un barellato, che quattro ingegnosi gli avevano calato dall’alto. Come si permetteva di dire: “Ti sono perdonati i peccati”? Soffocava, lui era uno che apriva cieli dentro, uscì.
La camminata verso il mare quel giorno ebbe un indugio, indugio di grazia, per via dell’affaccio di un banco di imposte e del suo esattore. Malvisto, come quelli della sua categoria: prestavano collaborazione agli occupanti romani e, per di più, alle tasse mettevano una cresta.
Il racconto è asciutto e immenso: “Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì”. Tutto qui, questione di secondi: il tempo di una parola e subito alzarsi e seguire. Poi artisti lungo i secoli a cercare di cogliere che cosa fosse mai passato in quell’incrocio di sguardi, nel vibrare della voce, quasi un niente di parole, che è così tutto da farti alzare e seguirlo. Occhi e voce. E’ la bellezza dell’uscire, dell’abbandonarsi, della fede. La fede che ha come cuore l’accendersi di una relazione, la persona: “Seguimi”. ”Sì, ti seguo, vengo con te”. Non tutti i giorni hanno i colori dell’entusiasmo, dopo tutto anche la sua fede – dico, quella di Gesù – conobbe giorni di fatica. A volte – lo ripeto – mi ritrovo sulle labbra la preghiera del padre del lunatico del vangelo: “Io credo, Signore, aiuta la mia incredulità”. Vincono gli occhi e la voce.
Dopo la sosta al banco delle imposte riprende il cammino. E noi a pensare: uno di più nel gruppo; tra non molto saranno al mare. E ci sbagliamo. Se vai con Gesù, non avrai mai finito di sorprenderti. Non siamo al mare. Siamo in una casa, forse sulla via verso il mare. E qui il racconto di Marco inizia con un “accadde”. Quasi a stimolare la nostra attenzione su quanto sta avvenendo; e la narrazione si distende, sino a farci respirare l’aria che si è fatta nella casa di Levi Matteo. Sì, perché Gesù proprio lì si è fermato, ed è già cosa grave che si sia fermato ospite in casa di un pubblicano. Ma poi l’obiettivo va a inquadrare – direi con insistenza – quanto sta avvenendo nella casa: Gesù e i suoi discepoli con spontaneità e naturalezza stanno a tavola con pubblicani e peccatori; sdegnati gli scribi dei farisei. Chissà, fosse entrato per muovere rimproveri, forse lo avrebbero anche sopportato, ma quello stare in mezzo, quel mescolarsi e mangiare con loro enfare festa, era a dir poco scandaloso; interpellano sbigottiti i discepoli e a Gesù giunge l’eco della loro denuncia. Non arretra. Ora sappiamo su che cosa Gesù non arretra, non transige: sull’accoglienza. Dice a loro – la versione è più aderente al testo – : “Non hanno bisogno del medico quelli che sono forti, ma coloro che stanno male! Non sono venuto a invitare i giusti, ma i peccatori”.
«Quelli che sono forti» – scrive Mons. Gianantonio Borgonovo – allude ai capi del popolo; «quelli che stanno male» sono il popolo abbandonato a sé. Dunque, non è citato soltanto un proverbio tradizionale – «i malati e non i sani hanno bisogno del medico» –, ma questo è trasformato per diventare un’accusa diretta ai capi religiosi che non si prendono cura della condizione del popolo oppresso”.
Che cosa accade nella casa? Accade la misericordia. Accade l’accoglienza universale, una smentita al proverbio delle mele marce. E se così stanno le cose nel vangelo, non può forse nascere un interrogativo su insegnamenti e prassi ecclesiastiche che sembrano dare al contrario la precedenza alla conversione sull’accoglienza al banchetto. La prima cosa che accade nella casa è il banchetto. A creare stupore, a intenerire il nostro cuore, a condurci per altra strada, cioè a convertirci, è proprio l’accoglienza, è l’aria che si respira nella casa di Matteo, è vedere come lui, il Rabbi di Nazaret, non metta distanze, mangia e beve con pubblicani e peccatori: sta a tavola con noi, anche se siamo – e lo siamo – pubblicani e peccatori. Il tuo Maestro! Ti perdi a guardarlo, lui occhi sognanti in quella festa. Non erano forse gli occhi che avevano fatto alzare Matteo? E i nostri occhi fanno alzare?
Si erano messi in cammino verso il mare. Eccoli arrivati al mare: in quella casa, mare a perdita d’occhi, mare aperto, brezza di respiro, il mare della misericordia, la casa della misericordia.
Poi si esce dalla casa di Matteo, si esce da questa chiesa dove siamo stati ospiti noi, non degni, alla cena. Si va verso il mare, la strada è segnata: hai visto l suoi occhi, incanto di misericordia e accoglienza.
Il futuro non è nel gelo: in giorni in cui il gelo sembra, soverchiante, fare resistenza, preghiamo che scenda la misericordia, scenda – è scritto – “come rugiada, come scroscio sull’erba del prato, come spruzzo sugli steli di grano”.
LETTURA Dn 9, 15-19
Lettura del profeta Daniele
In quei giorni. Daniele pregò il Signore dicendo: «Signore, nostro Dio, che hai fatto uscire il tuo popolo dall’Egitto con mano forte e ti sei fatto un nome qual è oggi, noi abbiamo peccato, abbiamo agito da empi. Signore, secondo la tua giustizia, si plachi la tua ira e il tuo sdegno verso Gerusalemme, tua città, tuo monte santo, poiché per i nostri peccati e per l’iniquità dei nostri padri Gerusalemme e il tuo popolo sono oggetto di vituperio presso tutti i nostri vicini. Ora ascolta, nostro Dio, la preghiera del tuo servo e le sue suppliche e per amor tuo, o Signore, fa’ risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è devastato. Porgi l’orecchio, mio Dio, e ascolta: apri gli occhi e guarda le nostre distruzioni e la città sulla quale è stato invocato il tuo nome! Noi presentiamo le nostre suppliche davanti a te, confidando non sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia. Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo».
Commento al filmato:è una preghiera ardente, dolorosa, quella che Daniele rivolge al signore come intercessione per il peccato del popolo, le note struggenti della Fisarmonica in Beriozka (piccolo albero di Betulla), stupendo canto popolare russo, ci trasmettono una grande emozione nella lettura della preghiera di Daniele:
«Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo».
SALMO Sal 106 (107)
Rendete grazie al Signore,
il suo amore e per sempre.
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Lo dicano quelli che il Signore ha riscattato,
che ha riscattato dalla mano dell’oppressore
e ha radunato da terre diverse. R
Nell’angustia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angosce.
Li guidò per una strada sicura,
perché andassero verso una città in cui abitare.
Ringrazino il Signore per il suo amore. R
Vedano i giusti e ne gioiscano,
e ogni malvagio chiuda la bocca.
Chi è saggio osservi queste cose
e comprenderà l’amore del Signore. R
Commento al filmato:è di una bellezza commovente, il canto del Pianoforte dello splendido “Prélude”da “Suite Inglese” di J.S. Bach, le sue note appassionate ci fanno partecipare con il cuore a questo inno di lode:
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Lo dicano quelli che il Signore ha riscattato,
che ha riscattato dalla mano dell’oppressore
e ha radunato da terre diverse.
EPISTOLA 1Tm 1, 12-17
Prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Carissimo, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Commento al filmato:è un inno di ringraziamento ardente quello che san Paolo eleva a Dio nella sua lettera a Timoteo, le note dolcissime delle Ghitarre e del Violoncello nello stiupendo “Largo-Larghetto”del Concerto in Si min di Vivaldi lo cantano con toni commoventi:
Carissimo, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.
VANGELO Mc 2, 13-17
✠ Lettura del Vangelo secondo Marco
In quel tempo. Il Signore Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Commento al filmato:la chiamata di Levi è un episodio di notevola carica drammatica, ambientato nel tumulto dela folla che seguiva Gesù e con i giudei che accusano Gesù di pranzare con i peccatori, ma le note impetuose dell’Orchestra e del Flauto solista nel Concerto di Vivaldi, sanno coglierne l’aspetto luminoso, solenne con la risposta di Gesù:
«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».